Da 'nice to have' a 'must have', come il covid-19 ha cambiato il rapporto con la tecnologia in maniera irreversibile e perché tutte le aziende dovranno velocemente attivare un processo di digitalizzazione.
Il secolo che stiamo vivendo ancora non si è concluso, ma è indubbio che l'epidemia Covid-19 occuperà pagine di rilievo nella bibliografia storica dei nostri tempi. Il radicale cambiamento, per ora momentaneo, a cui è stata sottoposta gran parte della popolazione mondiale non ha precedenti, e praticamente ogni compagnia (tra quelle che hanno avuto la grazia di non vedersi bloccare l'attività) ha dovuto far fronte, chi in maniera radicale, chi meno, ad una sostanziale riorganizzazione dei processi aziendali sia interni che esterni.
Per quanto concerne quest’ultimo punto di vista, come è stato fatto notare da molti, è indubbio che il Covid-19 abbia rappresentato un acceleratore di molti processi già in essere. In particolare, il settore tecnologico ha visto compiere un balzo in avanti considerevole, e molti settori con pulsazioni hi-tech hanno beneficiato di un’espansione dei propri margini di vendita più unica che rara. Basti pensare al settore dell’e-commerce, che nel corso del 2020 ha fatto registrare un importante incremento rispetto all’anno precedente.
Più in generale, possiamo dire che il Covid ha dato un impulso potente ad una trasformazione digitale già segnata e già in corso, partita da anni, ma che a causa della pandemia ha vissuto in solo pochi mesi una crescita che avrebbe probabilmente avuto nel corso di un quinquennio.
Ecco quindi che le imprese dovranno porre la massima attenzione all’innovazione, non soltanto intesa come nuove tecnologie e nuove infrastrutture, ma anche e soprattutto come nuovi metodi di fare impresa, mutando totalmente il paradigma organizzativo del passato.
Occorrerà lasciarsi alle spalle metodi di lavoro rigidi per abbracciare una cultura di impresa più snella e flessibile, maggiormente in grado di adattarsi alle prossime mutazioni del sistema economico e sociale, che potrebbero susseguirsi in tempi sempre più ristretti e essere sempre più vigorose. A tal proposito, e tornando all’emergenza Covid, è da guardare con assoluta ammirazione, oltre ovviamente da prendere da esempio, la ricerca di innovazione posta in essere da alcune imprese appartenenti ad uno dei settori più colpiti dal Covid-19, la ristorazione.
Innovazione e flessibilità organizzativa, dunque, sono le due parole chiave che ogni titolare di impresa, ogni manager, dovrà porre in rilievo ogni giorno nella propria agenda lavorativa, stelle polari che dovranno guidare le aziende a ritrovare la retta via in un contesto ostile, dove gli strumenti tradizionali non sembrano essere più in grado di dare segnali e indicazioni.
Internet, la rivoluzione tecnologica nata nel secolo scorso ma che si sta facendo largo nelle nostre case, e non solo, dagli inizi del nuovo millennio, è stata la vera protagonista della pandemia Covid.
Chiusi tra le mura di casa, i cittadini non hanno potuto fare altro che affidarsi alla rete e ai suoi strumenti per avere una connettività con il mondo esterno. Lavoro, videoconferenze con colleghi, familiari, amici, compagni di scuola, ricerche di ogni tipo, streaming di contenuti multimediali, acquisti online. Il percorso dell’espansione della rete appare segnato da tempo, con l’infrastruttura destinata a crescere (quantitativamente e qualitativamente) e a inglobare al suo interno la quasi totalità degli strumenti del nostro uso quotidiano, sia professionale che casalingo. Il Covid-19 ha però catapultato la società in un contesto iperconnesso, dove la domanda di rete ha subito un incremento verticale, ‘costringendo’ persone di ogni fascia di età a doverci avere a che fare.
In Italia il tema del digital divide è ancora fortemente sentito, e nella fase più acuta della pandemia tale gap tecnologico ha pesato enormemente. Pensiamo ad esempio a tutti quegli alunni che non hanno potuto godere di una rete stabile e veloce, oppure a tutti quei lavoratori costretti a recarsi in ufficio a causa di una connessione casalinga precaria o in alcuni casi addirittura assente.
È lecito pertanto attendersi, in un simile contesto, una moltiplicazione degli sforzi da parte dei governi nazionali per allargare l’infrastruttura di rete, sia fissa che wireless, 5G in testa.
Nel corso della pandemia Covid-19 è emerso con prepotenza il gap tra le attività, soprattutto lavorative, che possono essere svolte da remoto e quelle che richiedono necessariamente una presenza fisica.
È grazie ad internet che buona parte dell’economia dei servizi, così come in parte altri settori ad essa interconnessi, è riuscita a sopravvivere (e in diversi casi anche a crescere) alle fasi di confinamento condotte, in periodi più o meno prolungati, dai vari governi nazionali.
Le aziende già ben digitalizzate hanno potuto beneficiare, pertanto, di una posizione di favore. Parliamo di compagnie che hanno già internalizzato processi e cultura digitale, che hanno investito in un percorso di digitalizzazione nel corso degli anni precedenti e che hanno creduto nel processo evolutivo in atto.
Il Covid ha in qualche modo avuto un effetto macchina del tempo lungo l’asse temporale del percorso di digitalizzazione, e ora le imprese si trovano catapultate in un contesto di mercato 5-10 anni avanti rispetto a dove si trovavano a inizio pandemia. È per tale ragione che gli investimenti nella digitalizzazione non possono più attendere. Le aziende devono correre ai ripari e aggiornare il proprio apparato produttivo e organizzativo, oltre che la propria cultura aziendale, rimodellare la propria attività sulla base delle tecnologie offerte sul mercato, vedere queste come opportunità di crescita e non come ostacolo. L’esecuzione delle attività lavorative, e non solo, avrà sempre più a che fare con la rete.
Lo Smart Working ne è un classico esempio. Rivoluzione annunciata, nel corso degli anni sono diverse le compagnie che hanno compiuto una ristrutturazione interna per concedere ai lavoratori una flessibilità organizzativa in grado di consentire un miglior rapporto vita personale - vita lavorativa. Un modo di lavorare che guarda agli obiettivi, alle performance, che si rifà quindi alla sostanza tenendo le distanze dalla forma (che è fatta di cartellini timbrati, permessi di lavoro, presenza in ufficio richiesta esclusivamente a fini di controllo e non per consentire una reale interazione tra le persone). Quando quindi ci si è trovati catapultati in una dimensione in cui il lavoro da casa è stata vissuta come una forzatura, più che come un’opportunità, abbiamo assistito nella maggior parte dei casi ad una forma di ‘work from home’ che non ha nulla a che fare con lo Smart Working vero e proprio.
Chi si attende un ritorno alla normalità, qui intesa come allo stile di vita sociale e lavorativo a cui eravamo abituati nell’era pre-covid, rischia di rimanere con il cerino in mano. Si è rotto un equilibrio e ora se ne sta formando un altro: le aziende, soprattutto quelle maggiormente coinvolte nelle fasi di chiusura, dovranno essere in grado di riconvertire l’attività per trovare un punto di incontro tra le nuove esigenze di sicurezza e la naturale propensione sociale delle persone.
Attendiamoci quindi investimenti crescenti in diversi comparti tecnologici, che saranno chiamati a far fronte a una domanda di digitalizzazione sempre più alta. Le imprese dovranno assolutamente evitare il fai da te e dovranno affidarsi a professionisti seri, con una reputazione consolidata, in grado di calare nella loro realtà la soluzione tecnologica su misura.